Negli ultimi tempi, il termine greenwashing è diventato sempre più comune, associato alla pratica di aziende che promuovono una sostenibilità ambientale che, nei fatti, risulta solo di facciata. In sostanza, si tratta di affermazioni ingannevoli volte a dipingere un’immagine “verde” per migliorare la reputazione aziendale, senza reali azioni concrete che supportino tali dichiarazioni. Questo fenomeno non solo inganna i consumatori, ma frena il vero progresso verso una transizione ecologica sostenibile.
Il concetto di greenwashing ha assunto molte forme nel corso degli anni, coinvolgendo vari settori: dall’energia alle automobili, dalla moda ai prodotti di consumo. L’ascesa di questa pratica ha portato a una crescente attenzione da parte dei governi, degli organi di controllo e dei gruppi ambientalisti, che oggi analizzano con sempre più cura le dichiarazioni aziendali legate alla sostenibilità. Questo articolo esplorerà l’evoluzione del fenomeno, illustrerà i casi più eclatanti degli ultimi anni e offrirà uno sguardo sulle normative in atto per contrastare il greenwashing.
Cos’è il greenwashing
Il greenwashing nasce negli anni ’80 con il celebre caso di Chevron, quando la compagnia petrolifera avviò una campagna pubblicitaria chiamata “People Do” per promuovere il proprio impegno verso l’ambiente, mentre, contemporaneamente, continuava a violare le normative ambientali. Il termine stesso, una combinazione delle parole “green” (verde) e “whitewashing” (coprire), fu coniato nel 1986 da Jay Westerveld, un attivista che, durante una visita alle Fiji, notò come un resort incoraggiasse il risparmio degli asciugamani per “proteggere l’ambiente” pur espandendo le proprie strutture in modo insostenibile.
Un esempio interessante è riportato nell’articolo del Guardian intitolato The troubling evolution of corporate greenwashing, che esplora come diverse aziende abbiano affinato le loro tecniche di greenwashing, spesso presentando immagini idilliache e progetti “green” che mascherano, in realtà, pratiche dannose per l’ambiente.
Nel corso degli anni, il greenwashing si è evoluto fino a diventare una tattica di marketing comune in molti settori. Aziende di ogni tipo si sono accodate alla crescente attenzione del pubblico verso la sostenibilità ambientale, cercando di migliorare la propria immagine con dichiarazioni di impegno ecologico che, spesso, non hanno basi solide. Oggi, però, i consumatori e le organizzazioni sono più attenti, e le dichiarazioni non supportate da dati e azioni concrete vengono smascherate rapidamente.
L’aumento dei casi di greenwashing negli ultimi anni
Negli ultimi tre anni, i casi di greenwashing sono raddoppiati. Secondo Eco-Business, nel 2020 sono stati individuati otto casi, nel 2021 undici, e nel 2022 ben diciotto. Tra questi, troviamo aziende del settore finanziario, della moda, dell’energia e persino gruppi ambientalisti accusati di dichiarazioni non veritiere. Questo aumento è dovuto alla crescente pressione sociale affinché le imprese adottino comportamenti sostenibili, ma spesso queste rispondono con slogan piuttosto che con azioni concrete.
Uno dei fenomeni più recenti associati al greenwashing è il “silenzio verde” (o green hush), in cui le aziende decidono di ridurre le comunicazioni legate alla sostenibilità per paura di essere prese di mira. Di fronte a un controllo sempre più serrato, alcune realtà preferiscono non dichiarare i propri progressi ambientali, temendo che tali dichiarazioni possano scatenare critiche o azioni legali.
Normative europee per contrastare il greenwashing
L’Unione Europea ha iniziato a intervenire con forza contro il greenwashing. Il 28 novembre 2022, il Consiglio Europeo ha approvato la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), una direttiva che impone alle grandi imprese di rendere pubblici i dati sui loro impatti ambientali e sociali. Questa norma si applicherà a tutte le imprese europee con più di 250 dipendenti, estendendosi progressivamente dal 2024.
Parallelamente, l’UE sta elaborando la direttiva Green Claims, volta a regolamentare le dichiarazioni ecologiche delle aziende. Le affermazioni legate alla sostenibilità dovranno essere supportate da prove scientifiche e verificate da enti terzi. Questa direttiva mira a eliminare le “fake news ecologiche” e a garantire che solo le aziende effettivamente impegnate nella transizione ecologica possano promuoversi come tali.
Green claims: dichiarazioni ingannevoli di sostenibilità
Le green claims sono le dichiarazioni che le aziende fanno per sostenere la loro presunta sostenibilità ambientale. Spesso, queste affermazioni risultano troppo vaghe o, peggio, del tutto false. Frasi come “eco-friendly”, “biodegradabile”, “realizzato con materiali riciclati” sono comuni nel marketing di prodotti, ma molte volte mancano di una base verificabile.
Un’analisi della Commissione Europea ha rilevato che il 42% dei claim ecologici analizzati nel 2021 risultava ingannevole o privo di fondamento. Di fronte a queste pratiche, l’UE ha deciso di intensificare i controlli, imponendo alle aziende di dimostrare l’effettivo impatto ambientale dei loro prodotti attraverso metodi standardizzati.
Un altro problema ricorrente riguarda l’esternalizzazione della comunicazione. Molte aziende affidano la gestione della propria immagine a società esterne, che spesso orientano gli sforzi verso quelle aree in cui l’intento di ricerca dei consumatori è più forte, trascurando però le reali attività aziendali. Come riportato a questa pagina https://www.sistemieconsulenze.it/greenwashing-e-green-marketing/ è come quando si sente dire “i nostri prodotti sono certificati ISO 9001”, una certificazione che, pur essendo legata al sistema di gestione della qualità, viene talvolta usata in modo improprio per suggerire che i prodotti stessi siano di qualità superiore. Questo tipo di abuso ricorda l’uso eccessivo del termine “qualità”, spesso senza criteri oggettivi a supporto.
In molti casi, le aziende si affidano a fornitori di servizi, prodotti o soluzioni che dichiarano di seguire pratiche sostenibili, mentre nel tempo si rivelano delle vere e proprie “lavatrici ambientali”, il cui scopo principale è sfruttare l’interesse economico nascosto dietro alla transizione ecologica. Anche se le imprese possono non essere completamente consapevoli di questi comportamenti, non sono esenti da responsabilità. La mancata gestione delle attività svolte dai fornitori per loro conto le rende ugualmente colpevoli di sostenere pratiche scorrette.
Il fenomeno del silenzio verde e del green hushing
Il silenzio verde o green hushing è una tendenza crescente che si verifica quando le aziende scelgono di non pubblicizzare le loro azioni in materia di sostenibilità per evitare di essere accusate di greenwashing. Questo fenomeno è nato in risposta al crescente numero di denunce e critiche rivolte alle imprese che esagerano i propri progressi ecologici.
Alcune aziende preferiscono, quindi, minimizzare le comunicazioni ecologiche per non rischiare di diventare il bersaglio di critiche da parte di consumatori, attivisti o media. Anche se ciò potrebbe rallentare la trasparenza nella comunicazione ambientale, molte aziende ritengono che questa sia una scelta prudente in un clima di attenzione crescente verso le questioni di sostenibilità.
Esempi di greenwashing
Le aziende accusate di greenwashing appartengono a settori molto diversi tra loro, dal mondo finanziario a quello energetico, fino ad arrivare alla moda e ai prodotti di consumo. Vediamo alcuni dei casi più rilevanti degli ultimi anni.
HSBC: promuovere la sostenibilità nascondendo il supporto ai combustibili fossili
HSBC ha avviato una campagna pubblicitaria per promuovere i propri piani di sostenibilità, mettendo in evidenza un programma di piantumazione di alberi. Tuttavia, la banca ha omesso di menzionare che continuava a finanziare progetti legati ai combustibili fossili. Questo caso ha portato alla rimozione della campagna da parte dell’Advertising Standards Authority nel Regno Unito, a causa delle informazioni incomplete e fuorvianti.
Michelin: piantagioni di gomma al posto di habitat naturali
Michelin, nel 2015, ha lanciato un progetto per piantare alberi di gomma in Indonesia, dichiarando di voler rinverdire aree degradate. In realtà, migliaia di ettari di habitat naturali sono stati sostituiti da monocolture, distruggendo le case di oranghi, tigri ed elefanti.
Santos: sportswashing nel tennis australiano
La compagnia petrolifera Santos ha utilizzato il tennis per migliorare la propria immagine, sponsorizzando Tennis Australia e promuovendo i posti di lavoro nell’industria del gas. Dopo una campagna degli attivisti ambientali, la partnership è stata interrotta.
H&M: false dichiarazioni di sostenibilità nella moda
H&M è stata accusata più volte di greenwashing per aver ingannato i consumatori con claim falsi o esagerati legati alla sostenibilità della sua linea “Conscious Choice”. Nonostante le affermazioni, le pratiche di produzione e il modello di fast fashion della compagnia restano altamente impattanti.
Boohoo: collaborazione con Kourtney Kardashian per promuovere una collezione “green”
Boohoo ha collaborato con Kourtney Kardashian per promuovere una collezione “sostenibile”. Tuttavia, la produzione in larga scala di articoli di fast fashion con materiali sintetici e difficili da riciclare ha sollevato numerose critiche sul reale impegno del brand per la sostenibilità.
Mercedes: affermazioni di sostenibilità e controversie sulle emissioni
Mercedes ha promosso i suoi veicoli come rispettosi dell’ambiente, ma ha dovuto affrontare controversie legate alle emissioni reali dei suoi veicoli, che in alcuni casi si sono rivelate superiori a quanto dichiarato.
Unilever: promozione delle bustine di plastica nei paesi in via di sviluppo
Unilever, pur promuovendo il proprio impegno per ridurre gli imballaggi in plastica, è stata accusata di aver intensificato la diffusione delle bustine di plastica monouso nei paesi in via di sviluppo, contribuendo all’inquinamento dei corsi d’acqua e degli ecosistemi.
Coldplay: partnership con Neste per i viaggi aerei sostenibili
La band Coldplay ha collaborato con Neste per ridurre l’impatto dei viaggi aerei durante i loro tour. Tuttavia, Neste è stato accusato di deforestazione legata alla produzione di biocarburanti, sollevando dubbi sull’effettiva sostenibilità della partnership.
KLM: la campagna “Fly Responsibly” ingannevole
KLM ha lanciato la campagna “Fly Responsibly” affermando di voler ridurre le emissioni dei suoi voli. Tuttavia, la compagnia aerea è stata criticata per aver promosso una sostenibilità difficilmente raggiungibile senza ridurre il numero di voli.
ENI: false promesse con il carburante ENIdiesel+
Un episodio rilevante di greenwashing in Italia ha coinvolto ENI per la promozione del carburante ENIdiesel+, che l’azienda descriveva come un prodotto ecologico in grado di ridurre sia le emissioni che i consumi. Questo carburante è stato oggetto di pesanti critiche perché, nonostante le affermazioni, conteneva olio di palma e non garantiva i vantaggi ambientali promessi.
Nel 2020, a seguito di una denuncia presentata da Legambiente, il Movimento Difesa del Cittadino e Transport & Environment, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha multato ENI per cinque milioni di euro, dichiarando ingannevoli le campagne pubblicitarie legate al prodotto. Le autorità hanno sottolineato come l’uso di termini come “green” e “sostenibile” fosse improprio e fuorviante per i consumatori.
Coca-Cola: claim “World Without Waste” e l’uso della plastica
Coca-Cola ha avviato la campagna “World Without Waste”, affermando di voler ridurre l’impatto ambientale dei suoi prodotti. Tuttavia, è stata più volte indicata come una delle maggiori responsabili dell’inquinamento da plastica a livello globale.
The Ocean Cleanup: raccolta di plastica dall’oceano con video sospetto
The Ocean Cleanup è stato accusato di aver manipolato un video che mostrava la raccolta di plastica dall’oceano. Gli attivisti hanno notato che i rifiuti sembravano troppo puliti per essere stati a lungo in mare, sollevando dubbi sulla veridicità dell’iniziativa.
Conseguenze legali e reputazionali del greenwashing
Le aziende coinvolte in casi di greenwashing rischiano pesanti conseguenze legali e danni alla propria reputazione. In Europa, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha imposto sanzioni fino a cinque milioni di euro per le imprese colpevoli di pubblicità ingannevole. Anche a livello reputazionale, il greenwashing può distruggere la fiducia dei consumatori, danneggiando gravemente il brand.
La trasparenza è oggi essenziale: le aziende devono essere pronte a dimostrare la validità delle loro affermazioni con dati concreti e verificabili. In caso contrario, rischiano di essere esposte a critiche e denunce, che possono rivelarsi molto costose non solo in termini finanziari, ma anche in termini di fiducia del pubblico.